La domanda: ridurre i diritti dei lavoratori è una necessità impellente al fine di accrescere la produttività delle imprese dei paesi meridionali ?
Sul punto il Fondo Monetario Internazionale, sostiene che non vi è alcuna evidenza circa un effetto positivo della flessibilità sul potenziale produttivo. Un’ammissione piuttosto sbalorditiva, se si pensa che la deregolamentazione del mercato del lavoro è sempre stata tra le condizioni dello stesso FMI per l’assistenza finanziaria, compresa quella ai paesi in crisi dell’Unione europea. Secondo il FMI gli effetti delle riforme strutturali sulla produttività sono importanti se si parla di deregolamentazione del mercato dei beni e dei servizi, di utilizzo di nuove tecnologie e di forza lavoro più qualificata, di maggiore spesa per le attività di ricerca e sviluppo.
Al contrario la deregolamentazione del mercato del lavoro non sembra avere effetti statisticamente significativi sulla produttività.
Per questo il FMI suggerisce alle economie avanzate un costante sostegno alla domanda per incoraggiare investimenti e crescita del capitale, e l’adozione di politiche e di riforme che possono aumentare in modo permanente il livello del prodotto potenziale. Queste politiche dovrebbero coinvolgere le riforme del mercato dei prodotti, maggiore sostegno alla ricerca e sviluppo e un uso più intensivo di manodopera altamente qualificata e di beni capitali derivanti dalle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni, più investimenti in infrastrutture per aumentare il capitale fisico e politiche fiscali e di spesa progettate per aumentare la partecipazione della forza lavoro.
Ma Il FMI arriva ben dopo antri economisti mainstream i quali hanno sottolineato che la “via bassa” alla flessibilità, vale a dire ridurre le garanzie e le tutele e agevolare i contratti precari, è nei fatti un incentivo per le imprese a non innovare, sostituendo il capitale e le tecnologie con più lavoro mal retribuito.
Adesso le idee sono sempre più confuse....
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