Se la società finanziaria ovvero l'istituto di credito segnala erroneamente il nominativo di un finanziato al CRIF, questi ha diritto al risarcimento del danno economico collegato alla colpa dell'ente erogatore ?
La risposta non è univoca e dipende dalle prove che si hanno a disposizione. Questo perché la giurisprudenza è uniforme sulla questione.
Il fatto stesso della illegittima iscrizione nella "lista nera" dei cattivi debitori, non determina un automatico danno per il debitore, dovendo essere rigorosamente provato in giudizio.
La questione nasce da una erronea segnalazione al CRIF, pacificamente ammessa dall'Istituto di Credito e cancellata successivamente al rilievo da parte del "presunto cattivo debitore"
La questione nasce da una erronea segnalazione al CRIF, pacificamente ammessa dall'Istituto di Credito e cancellata successivamente al rilievo da parte del "presunto cattivo debitore"
La parte lesa sceglie comunque di adire il Giudice per ottenere il risarcimento del danno causato dalla illegittima segnalazione.
In primo grado il giudice ha rigettato la richiesta di risarcimento danni perché non suffragata da adeguati elementi di prova circa il danno ed il nesso causale. In questi casi è molto importante rilevare e documentare la perdita economica, quindi il "danno" subito a causa del comportamento colposo dell'istituto.
Con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., la Corte ha dichiarato inammissibile l’appello proposto in quanto anche il medesimo non aveva ragionevoli probabilità di accoglimento nel merito, facendo proprie le motivazioni del Giudice di prime cure, il quale aveva respinto la domanda attorea poiché del tutto sfornita di prova. Sostengono i Giudici che "il danno da immagine imprenditoriale e commerciale, non è considerabile in re ipsa, ma necessita di concrete allegazioni e prove, che nello specifico non sono state nemmeno offerte, in ordine all’effettivo pregiudizio subito”.
L’ordinanza non aggiunge nessun nuovo argomento rispetto alla sentenza di primo grado, già completa e motivata in maniera esauriente sul punto.
Con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., la Corte ha dichiarato inammissibile l’appello proposto in quanto anche il medesimo non aveva ragionevoli probabilità di accoglimento nel merito, facendo proprie le motivazioni del Giudice di prime cure, il quale aveva respinto la domanda attorea poiché del tutto sfornita di prova. Sostengono i Giudici che "il danno da immagine imprenditoriale e commerciale, non è considerabile in re ipsa, ma necessita di concrete allegazioni e prove, che nello specifico non sono state nemmeno offerte, in ordine all’effettivo pregiudizio subito”.
L’ordinanza non aggiunge nessun nuovo argomento rispetto alla sentenza di primo grado, già completa e motivata in maniera esauriente sul punto.
Ciò che è fondamentale, in queste azioni, è chiaro. Necessaria l'attenzione sul pregiudizio economico e sulla sua dimostrazione con prove di qualsiasi genere. Viceversa l'azione legale sarà inutile
L'importanza della sentenza della corte d'Appello risiede anche nell’interpretazione che dottrina e giurisprudenza hanno attribuito al requisito della ragionevole probabilità di accoglimento, in assenza del quale l’appello è dichiarato inammissibile .
Infatti, La giurisprudenza è concorde nel far coincidere i motivi dell’ordinanza di inammissibilità con quelli dell’impugnazione palesemente infondata.
Infatti, La giurisprudenza è concorde nel far coincidere i motivi dell’ordinanza di inammissibilità con quelli dell’impugnazione palesemente infondata.
Vengono generalmente dichiarate inammissibili impugnazioni fondate su ricostruzioni palesemente smentite dall’attività istruttoria espletata oppure, come nel caso di specie, contrastanti con orientamenti giurisprudenziali consolidati e maggioritari nella materia.
L' art. 348 ter c.p.c. sancisce, infatti, che l’ordinanza "preliminare" debba essere succintamente motivata anche mediante il riferimento a precedenti conformi.
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