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Tradizione o innovazione ?



Si sente tanto parlare di “crisi” dell’avvocatura, di “collasso” della professione e di legislazione sempre più pressante e mortificante. Se ne parla tanto ed in così tante diverse modalità che, anche se si è disinteressati alla questione, per un verso o per un altro prima o poi si presta orecchio e attenzione a quanto si dice e (sopratutto) si scrive e, quando versi in uno stato d’animo meno produttivo magari pensi pure che è vero, che è difficile, che è insostenibile!
L’importante è che il tempo dedicato alla riflessione sui “problemi” della professione sia limitato e circoscritto a non più di mezz’ora in un arco di tempo che può essere settimanale o, anche meglio, mensile e che il resto del tempo sia dedicato alla ricerca di nuove soluzioni, nuovi strumenti e nuove opportunità, necessarie per affrontare questo momento storico di “crisi” della professione.
Questo non vuol di certo dire restare indifferenti alle manovre, alle volte, scellerate del legislatore in merito alla riforma della giustizia ovvero della professione. La nostra categoria ha il dovere, individualmente o tramite associazioni, di vigilare sulla migliore e corretta manovra riformatrice e questo perché facciamo parte degli operatori del diritto anzi ne siamo proprio gli esecutori materiali, abbiamo il dovere professionale di vigilare affinché chi fa le leggi le faccia avendo attenzione alla tutela degli interessi collettivi e soprattutto delle categorie protette di interessi collettivi. L’avvocato ha il dovere di spostare la propria attenzione dall’interesse particolare e soggettivo all’interesse generale quando si fanno, si modificano ovvero si eliminino le norme.
E quindi la “crisi” cos’è ?
Una crisi, secondo il significato più moderno, è un cambiamento traumatico o stressante per un individuo, oppure una situazione sociale instabile e pericolosa.
Tuttavia, l’etimologia di crisi deriva senza dubbio dal verbo greco krino = separare, discernere, giudicare, valutare. Se, dunque, riflettiamo sull'etimologia della parola crisi, possiamo coglierne l’atteggiamento positivo, in quanto un momento di crisi, di riflessione, di valutazione, di discernimento, può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita.
In realtà siamo chiamati a scegliere fra la tradizione e quella che a me piace chiamare “tradizione innovata”. Questo proprio perché la nostra professione nasce dalla tradizione ed il totale rifiuto della stessa non è possibile perché ne siamo intrisi. La nostra formazione è accademica, necessariamente poggiata sullo studio di testi giuridici, di giurisprudenza. La nostra tradizione, quella più operativa ed esecutiva, è tramandata perché veniamo affiancati ad un dominus subito dopo la laurea che ha il dovere di vigilare sul nostro migliore apprendimento della professione in senso stretto ed in senso lato, cioè di rispetto della colleganza.
Tutto è così meravigliosamente tradizionale.
Peccato che da solo non serve più. Perchè il periodo storico-politico di “crisi” ci chiama ad innovare la nostra tradizione a divenire sempre più consapevoli di avere necessità di altri strumenti per non soccombere e per continuare ad esercitare la professione in maniera decorosa e dignitosa. 
Adesso riporterò il testo di una relazione che ho preparato per un intervento che ho fatto in un convegno in cui si trattava “il marketing applicato allo studio legale”.
Qui riporto solo un estratto breve della relazione e parto proprio dall’excursus storico e sociale che ha “costretto” anche la nostra categoria professionale insieme ad altre categorie intellettuali, ad aprirsi a nuove forme di comunicazione.
“…Il momento di grave difficoltà economica in cui l’economia europea si trovava e si torva tutt’ora, ha richiesto soluzioni normative favorenti l’espansione dell’istituzione del libero mercato europeo ed aventi il fine di ridurre l’ingerenza pubblica nell’operato dell’agente economico. 
In questa ottica si è posta, dunque, la liberalizzazione delle professioni ordinistiche, la quale ha, fra gli altri, anche lo scopo di garantire una scelta più ampia ai consumatori introducendo una maggiore concorrenza fra i professionisti.
 Ciò ha avuto attuazione, soprattutto, attraverso il contenuto dei contratti di prestazione professionale; gli oneri informativi del professionista; l’abrogazione dei sistemi di tariffe predeterminate dal legislatore; le società tra i professionisti; la pubblicità.
La liberalizzazione ha aperto la strada a temi quali la pubblicità ed il marketing.
Anzi, quando si parla di marketing, la prima parola che si associa inevitabilmente è quella di pubblicità. Parola questa che se posta in relazione all’esercizio delle professioni cosiddette “ordinistiche” crea sempre un notevole impatto ed alle volte un vero e proprio distacco emotivo a secondo del contesto in cui la si utilizza.
La necessità di regolamentare il rapporto tra professionisti e Marketing è sorto per la prima volta in America e, nello specifico, quando due giovani avvocati dell’Arizona decisero di farsi pubblicità piazzando un cartellone di dimensioni enormi in città e, conseguentemente, l’organo disciplinare competente, disapprovandone l’operato, li sospese.
Il caso giunse fino alla Corte federale suprema la quale sancì che la norma disciplinare era illegittima in quanto contribuiva a mantenere il pubblico nell’ignoranza e che, anzi, la pubblicità svolgeva un ruolo fondamentale in un sistema basato sulla liberalizzazione dello scambio delle risorse in quanto fornisce utili informazioni sulla natura, modalità e costi di un servizio
Ci vollero ben 25 anni, affinché nel 2002 anche la corte Europea fornisse un’interpretazione, per così dire, evolutiva dell’art 10 della convenzione dei diritti dell’uomo applicandola ad un caso in cui un avvocato spagnolo aveva fatto pubblicizzare su un giornale la propria professione indicando nome, professione, indirizzo e recapito telefonico.
Sostenne la Corte che l’art 10 garantisce la libertà di espressione di ogni individuo e che rientra in questa libertà anche quella di opinione e quella di ricevere informazioni e idee altrui senza subire l’ingerenza da parte di Autorità Pubbliche ovvero di frontiera.
L’UE ha regolamentato la materia il 06.12.2002 quando a Dublino approvò una nuova normativa la CCBE con la quale si dispose che è consentita la diffusione di notizie accurate e non ingannevoli attinenti l’esercizio della professione e che queste si possono diffondere attraverso radio, giornali, televisione in osservanza con la normativa sul E - Commerce, ossia il commercio elettronico.
In seguito a questi eventi tutta la disciplina europea mutò e venne consentita la pubblicità per i professionisti in maniera molto ampia nel nord europa, nel rispetto del decoro e dignità della professione in centro europa. Al Sud la nuova normativa ha incontrato molte più resistenze.
Sopratutto in Italia, dove la normativa europea è stata recepita dopo numerosi richiami da parte della Commissione Europea e solo nel 2006, con l’approvazione del decreto legge  n. 233/2006, detto decreto “Bersani” con il quale si stabilì che i professionisti quali notai, avvocati, commercialisti e architetti potevano utilizzare, seppur entro determinati limiti, strumenti di marketing.
La ratio della normativa era, oltre quella dell’allineamento alla normativa europea della legislazione italiana, anche quella di aumentare la competitività in un settore che seppur inflazionato era pur sempre governato dai professionisti anziani.
Questo per ciò che concerne il marketing applicato ai professionisti in generale.
Per il settore degli avvocati la materia è regolamentata dalla legge 247 del 2012. 
Ciò che interessa in questa sede è sottolineare gli aspetti attinenti al marketing applicato allo studio legale ed al rapporto di questo con il codice deontologico, al quale resta comunque demandato l’onere di valutare la correttezza dell’attività del professionista rispetto alla categoria ed agli utenti, prerogativa questa che è rimasta immutata anche nella versione più recente del codice stesso.
Le nome da evidenziare sono quella che prevede la possibilità di creare società tra avvocati anche multisciplinari, la norma che prevede la pattuibilità del compenso con il cliente facendogli intendere il grado di complessità della questione controversa e la norma che prevede la pubblicità. Quest’ultima norma disciplina i limiti entro cui è possibile al professionista farsi pubblicità. Vale a dire l’avvocato può fornire informazioni sulle modalità del proprio operato purché in maniera trasparente, veritiera, non comparativa ovvero suggestiva, ciò per garantire quel rispetto della dignità e del decoro professionale al quale anche il codice deontologica presta molta attenzione. Anzi il codice va oltre perché all’art 17 sul diritto dell’avvocato a fornire informazioni circa la propria attività, organizzazione, specializzazioni, struttura, pone l’accento sulla “tutela dell’affidamento collettivo” sottolineando che il fine dell’informazione è sempre la tutela dell’interesse collettivo ad orientarsi meglio nella scelta del servizio professionale e del professionista in un “libero mercato delle professioni intellettuali” in aderenza a quanto i giudici americani prima ed europei  dopo hanno sempre statuito.
Necessaria, a questo punto, la distinzione fra pubblicità e marketing. Più appropriata per gli avvocati è senz’altro la seconda categoria al fine di professare al meglio la propria attività. Ciò perché la pubblicità, seppur ormai possibile in quanto autorizzata dal CNF, mal si addice allo standard della professione forense. Infatti sembra che studi di recente effettuati abbiano dimostrato che l’acquisto di spazi pubblicitari nella realtà, nell’etere ovvero su internet, non produca risultati in termini di efficacia. 
Ciò posto, potrebbe sembrare che l’avvocato abbia limitati strumenti di marketing a propria disposizione, nonostante l’assoluta liberalizzazione delle professioni e le numerose modifiche intervenute nell’ambito della categoria forense.
In realtà, l’unica cosa certa è che l’evoluzione della posizione dell’avvocato da titolare esclusivo dello studio a parte attiva di una realtà più complessa ha assolutamente mutato le esigenze comunicative di quest’ultimo. L’avvocato ha sempre maggiore esigenza di comunicare ad un livello diverso, condividendo ovvero gestendo le informazioni sia rispetto ai colleghi di studio avvocati o professionisti diversi che rispetto al cliente, ormai parte attiva del rapporto di fiducia e che sovente chiede di essere coinvolto in tutta o buona parte dell’attività processuale.
Cos’è, dunque, il marketing nel settore legale? 
Il marketing per la categoria professionale forense è attività di comunicazione a fini promozionali che punti suoi contenuti della professione. Questa sarà senz’altro la migliore forma di “pubblicità” per la categoria in quanto senz’altro aderente ai principi di decoro e dignità della professione ed in linea con il codice deontologico in quanto “tutela l’affidamento collettivo”.  







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