Recentemente i Giudici della Cassazione hanno sancito un principio abbastanza innovativo in materia di legittimità del licenziamento.
Hanno infatti stabilito una nuova linea nel senso che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo non solo nell'ipotesi in cui sia finalizzato ad evitare perdite economiche ma anche quando il fine è diretto a conseguire un maggior arricchimento per l'impresa.
Il passo avanti rispetto ai precedenti orientamenti è rappresentato dal fatto che la finalità perseguita per mezzo dell'attuata riduzione del personale, si sottrae al controllo giudiziale.
La Cassazione precisa, infatti, che "al controllo giudiziale sfugge necessariamente il fine, di arricchimento o di non impoverimento, perseguito dall'imprenditore (anche nei casi in cui questo controllo sia tecnicamente possibile)".
Sotto questo punto di vista i Giudici hanno recepito l'orientamento ormai sostenuto da più parti secondo cui l'aumento del profitto si traduce non solo in un vantaggio per il patrimonio individuale dell'impresa ma principalmente in un incremento degli utili dell'impresa, ossia, in un beneficio per la comunità dei lavoratori.
Tutto ciò significa che l'imprenditore potrà in "astratto" licenziare il lavoratore perché non possiede quelle caratteristiche necessarie all'incremento produttivo verso cui l'impresa vuole orientarsi senza subire alcun sindacato giudiziale.
Ad ogni modo nella prassi è sempre consigliabile per l'impresa vagliare la più adatta strategia per procedere al licenziamento, che dovrà attuarsi dentro determinati criteri di imprescindibile tutela per il lavoratore. Quali ad esempio studio documentato dell'ipotetico incremento del reddito, preavviso motivato nei termini, conciliazione preventiva.
Da considerare, infine, il riposizionamento del lavoratore in altre mansioni, la cui omissione potrebbe essere valutata dai giudici come indice di "mala fede".
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