In tema di insolvenza fraudolenta, la prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto può essere desunta anche dal pagamento effettuato con un assegno privo di data ove si accerti che, già al momento della consegna del titolo, l’agente era insolvente e aveva dissimulato tale stato al venditore.
La Corte di Appello di Lecce, confermando quanto affermato in primo grado dal Tribunale di Brindisi, ha condannato l’imputato, reo di aver simulato una situazione di solidità economica, mediante il pagamento con un assegno bancario privo di provvista, e ciò al fine di ingannare la parte offesa e procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno.
Veniva accertato, in punto di fatto, che l’imputato aveva ordinato una consistente fornitura di beni, garantendo il pagamento immediato della stessa. Successivamente alla definizione della compravendita, l’acquirente consegnava al venditore un assegno privo dell’apposizione della data, pregandolo di non incassarlo nell’immediato e reiterando tale richiesta anche successivamente. Il venditore, tuttavia, allarmato da tale condotta, pochi mesi dopo decideva, in ogni caso, di incassare l’assegno, che si scopriva privo di provvista.
Il mancato pagamento del debito contratto, l’assenza di prove dell’insorgenza di imprevisti di natura economica nonché, non ultima, la visura camerale evidenziante numerosi protesti precedenti al momento dell’ordine, sono state valutate quali prove dimostranti la condotta di dissimulazione dello stato di insolvenza dell’imputato.
Contro la sentenza della Corte di Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che le parti, al momento della compravendita, erano concordi sul fatto che la controprestazione in denaro non avesse termini certi d’adempimento. Infatti, il creditore, secondo la prospettazione dell’imputato, avrebbe accettato un assegno privo di data in quanto pienamente consapevole del fatto che il pagamento sarebbe stato effettuato solo nel momento in cui il debitore fosse stato in grado di adempiere.
Per potersi configurare il reato di cui all’art. 641 c.p., “il proposito dell’agente di non adempiere l’obbligo deve sussistere nel momento in cui questo prende giuridica consistenza, perché, se sopravvenisse, non avrebbe alcuna rilevanza, nonostante la condizione obiettiva del mancato pagamento”. Infatti, il discrimine tra mero inadempimento contrattuale e commissione del reato risiede nell’elemento ispiratore della condotta: il preordinato proposito di non effettuare la dovuta prestazione, la prova del quale può essere ricavata anche da argomenti induttivi, purché seri ed univoci, ricavabili dal contesto dell’azione e dal comportamento successivo dell’imputato, anche se non esclusivamente dal mero inadempimento.
La Suprema Corte ha ritenuto l’assegno privo di data non equiparabile ad un assegno ad esempio post datato, il quale, contrariamente a questo, è un titolo che il creditore può incassare in qualsiasi momento e, quindi, favorisce il beneficiario e non il debitore.
Alla luce di quanto sopra, il ricorso è stato, dunque, dichiarato inammissibile perché ampiamente dimostrato che il ricorrente, al momento dell’accordo, fosse consapevole di non poter adempiere e malgrado ciò abbia stipulato il contratto traendo in inganno il venditore e, appunto, dissimulando il proprio stato di insolvenza.
La Corte di Appello di Lecce, confermando quanto affermato in primo grado dal Tribunale di Brindisi, ha condannato l’imputato, reo di aver simulato una situazione di solidità economica, mediante il pagamento con un assegno bancario privo di provvista, e ciò al fine di ingannare la parte offesa e procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno.
Veniva accertato, in punto di fatto, che l’imputato aveva ordinato una consistente fornitura di beni, garantendo il pagamento immediato della stessa. Successivamente alla definizione della compravendita, l’acquirente consegnava al venditore un assegno privo dell’apposizione della data, pregandolo di non incassarlo nell’immediato e reiterando tale richiesta anche successivamente. Il venditore, tuttavia, allarmato da tale condotta, pochi mesi dopo decideva, in ogni caso, di incassare l’assegno, che si scopriva privo di provvista.
Il mancato pagamento del debito contratto, l’assenza di prove dell’insorgenza di imprevisti di natura economica nonché, non ultima, la visura camerale evidenziante numerosi protesti precedenti al momento dell’ordine, sono state valutate quali prove dimostranti la condotta di dissimulazione dello stato di insolvenza dell’imputato.
Contro la sentenza della Corte di Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che le parti, al momento della compravendita, erano concordi sul fatto che la controprestazione in denaro non avesse termini certi d’adempimento. Infatti, il creditore, secondo la prospettazione dell’imputato, avrebbe accettato un assegno privo di data in quanto pienamente consapevole del fatto che il pagamento sarebbe stato effettuato solo nel momento in cui il debitore fosse stato in grado di adempiere.
Per potersi configurare il reato di cui all’art. 641 c.p., “il proposito dell’agente di non adempiere l’obbligo deve sussistere nel momento in cui questo prende giuridica consistenza, perché, se sopravvenisse, non avrebbe alcuna rilevanza, nonostante la condizione obiettiva del mancato pagamento”. Infatti, il discrimine tra mero inadempimento contrattuale e commissione del reato risiede nell’elemento ispiratore della condotta: il preordinato proposito di non effettuare la dovuta prestazione, la prova del quale può essere ricavata anche da argomenti induttivi, purché seri ed univoci, ricavabili dal contesto dell’azione e dal comportamento successivo dell’imputato, anche se non esclusivamente dal mero inadempimento.
La Suprema Corte ha ritenuto l’assegno privo di data non equiparabile ad un assegno ad esempio post datato, il quale, contrariamente a questo, è un titolo che il creditore può incassare in qualsiasi momento e, quindi, favorisce il beneficiario e non il debitore.
Alla luce di quanto sopra, il ricorso è stato, dunque, dichiarato inammissibile perché ampiamente dimostrato che il ricorrente, al momento dell’accordo, fosse consapevole di non poter adempiere e malgrado ciò abbia stipulato il contratto traendo in inganno il venditore e, appunto, dissimulando il proprio stato di insolvenza.
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