Quale informativa deve fornire l'intermediario finanziario per le operazioni su strumenti finanziari derivati?
Ultimamente la Cassazione ha fornito un'interpretazione specifica sugli oneri informativi da parte degli intermediari finanziari, quando l'operazione di investimento ha ad oggetto strumenti derivati.
Questi sono strumenti finanziari il cui valore dipende ("deriva") dal valore di un'altra attività finanziaria o reale (attività sottostante).
Nello specifico, gli strumenti finanziari derivati sono contratti il cui valore dipende dall'andamento di un'attività sottostante nota anche come "underlying asset". Le attività sottostanti possono avere natura finanziaria (come ad esempio i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici) o reale (come ad esempio il caffè, il cacao, l'oro, il petrolio, ecc).
In questo tipico caso di operazione di investimento, sostengono i giudici, che non sussista onere per la banca di informativa specifica per ogni singolo ordine di investimento.
Infatti proprio in considerazione della struttura delle operazioni di investimento "complessa", ha rigettato il ricorso proposto dagli investitori, i quali lamentavano la violazione dei doveri informativi collegati alla sottoscrizione dei singoli contratti derivati.
La Corte di Legittimità ha sottolineato “come, atteso lo strumento prettamente speculativo, scolora ai fini informativi del rischio il rilievo del cd. sottostante (titolo, indice, merce) di riferimento dell'operazione di investimento in strumenti finanziari derivati”.
L’informativa non è nella valutazione del “sottostante” strumento finanziario, bensì è un’informativa generale resa in occasione della conclusione dei rapporti disciplinanti nello specifico i servizi di investimento.
Sostiene la Corte che il rischio in questo tipo di operazione sia definibile in via preventiva sulla base del meccanismo contrattuale, che riguarda prodotti tutti uniformemente ad elevato rischio.
Come dicevamo sopra, questo è il caso di operazioni di investimento su strumenti finanziari derivati su titoli, merci e indici di mercati regolamentati. In questo caso, allora, l'informazione è rispettosa delle norme laddove sia chiara ed inequivoca in ordine alla natura ed alle caratteristiche di rischiosità di quel genere di operazioni a struttura speculativa.
Ciò dipende, in altri termini, dalla natura stessa delle operazioni in derivati, dove, assai più che il singolo cd. sottostante, il cliente deve comprendere i rischi per definizione connessi al tipo di operazione.
Il rischio, infatti, è suscettibile di essere influenzato dal meccanismo tipico dell'operazione finanziaria per cui la banca ha l'obbligo di spiegarlo compiutamente.
Sufficientemente garantista, secondo questa ricostruzione, è la stipulazione di un secondo contratto, avente specificamente ad oggetto le operazioni in strumenti derivati, che dettagliatamente ne chiarisca il funzionamento.
Nel confermare, dunque, la decisione dei Giudici di merito, la Corte Suprema sottolinea la corretta valutazione compiuta dal Collegio di secondo grado in ordine alla prova dell’effettivo adempimento informativo, mediante la prefigurazione al cliente del “peggiore degli scenari configurabili”, così come riportato nel contratto disciplinante la negoziazione di strumenti finanziari derivati (nel quale si ricordava che “il valore di mercato dei contratti oggetto dell'accordo "è soggetto a notevoli variazioni" e l'investimento "comporta l'assunzione di un elevato rischio di perdite di dimensioni anche eccedenti l'esborso originario e comunque non quantificabili”).
Inoltre, secondo la ricostruzione fornita dai giudici, è sufficiente che sia stato sottoscritto il documento sui rischi generali degli investimenti, il quale reca un'apposita sezione relativa alla "rischiosità degli investimenti in strumenti finanziari derivati", in particolare chiarendo che la vendita di un'opzione "comporta l'assunzione di un rischio molto più elevato di quello relativo al suo acquisto", con perdite "potenzialmente illimitate".
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