Leggendo ultimamente diversi articoli sul gratuito patrocinio, riflettevo in questi giorni su una questione che mi sta creando davvero non poco imbarazzo con una fascia di clienti.
Com'è possibile che l'ammesso al gratuito patrocinio venga condannato al pagamento delle spese processuali della controparte ?
Io non lo so!
Ciò nonostante, sempre più spesso, i giudici condannano l'ammesso al gratuito (il non abbiente) a pagare le spese processuali della controparte approfittando di una legge (quella proprio sul gratuito patrocinio) che non esclude esplicitamente tale possibilità.
La norma sul gratuito prevede esplicitamente che l'avvocato dell'ammesso vedrà liquidati i propri compensi a carico dello stato ma non statuisce nulla sulle spese di controparte.
La questione si riassume in una domanda asciutta che è questa.
Com'è possibile che l'ammesso al gratuito patrocinio venga condannato al pagamento delle spese processuali della controparte ?
Io non lo so!
O meglio lo so e tenterò di spiegarvelo, ma non ne comprendo la logica, la ratio e neppure l'etica, quindi è come se non lo sapessi e infatti non so rispondere alla domanda suddetta!
Infatti, se qualcuno viene ammesso al gratuito vuol dire che possiede - e lo ha dimostrato - le condizioni di reddito richieste per non pagare i costi di giustizia ai quali andrà incontro per ottenere tutela dei diritti. Ha anche dimostrato che la propria richiesta è fondata in fatto e diritto ed, infatti, ha ottenuto delibera di ammissione dell'organo deputato ad emetterla: l'ordine degli avvocati.
Ciò nonostante, sempre più spesso, i giudici condannano l'ammesso al gratuito (il non abbiente) a pagare le spese processuali della controparte approfittando di una legge (quella proprio sul gratuito patrocinio) che non esclude esplicitamente tale possibilità.
La norma sul gratuito prevede esplicitamente che l'avvocato dell'ammesso vedrà liquidati i propri compensi a carico dello stato ma non statuisce nulla sulle spese di controparte.
Così, ad esempio, si è verificato che un invalido civile ultrasettantenne, che percepisce il minimo sociale per un totale di 6000 euro l'anno, è stato condannato a pagare le spese processuali della controparte nonostante godesse del gratuito patrocinio, quindi della difesa gratuita e nonostante l'amministrazione comunale (che nello specifico era la controparte) avesse commesso un abuso nei suoi confronti e avesse perso in primo grado (con le spese compensate ovviamente, sia mai che un ente pubblico soccombente venga condannato a pagare).
L'ente, stranamente, ha vinto in appello e qui i Giudici hanno rimesso tutto a posto condannando quel pover'uomo a pagare circa 1000 euro di spese legali in favore del comune. Si comprende che per quell'uomo quella cifra era improponibile perché corrispondeva a due mesi di pensione e quindi ha anche rischiato un infarto. Ovviamente poi non ha voluto fare ricorso in cassazione, per motivi che facilmente potete immaginare..Senza bisogno che mi spieghi..Giusto?
Ad oggi quel pensionato vive costantemente sotto le pressioni del comune in questione che vuole il suo migliaio di euro forse per risanare il proprio bilancio o forse per principio comunque le vuole! Sono sue e le ha meritate! Oh!
Difficilmente le vedrà comunque perché quello davvero o mangia o paga sta cifra.
Questo giusto per farvi capire le lotte tra titani che si stanno incardinando in ambito di gratuito patrocinio.
Andando al punto.
A me sembra che questa prassi rappresenti una frustrazione dell'art 24 della costituzione che è la norma sulla quale si basa proprio il gratuito patrocinio e che tutela il diritto alla difesa di tutti ed in particolare dei meno abbienti.
Se le condizioni ci sono e viene emessa la delibera di ammissione al gratuito da parte dell'organo deputato a farlo, la logica impone che i giudici rispettino quella delibera e, quindi in caso di soccombenza, compensino le spese processuali.
Peraltro e per inciso, la compensazione delle spese processuali (che sarebbe ognuno si paghi le sue) rappresenta ormai la consuetudine in ogni processo ed in barba alla regola generale processuale che "le spese di lite seguno la soccombenza".
Quindi a maggior ragione quando fra le parti processuali una è ammessa al gratuito, si dovrebbe applicare questo principio di "compensazione".
Sottolineo e ribadisco che la parte viene ammessa al gratuito sulla base di un'esame della sussistenza delle condizioni di reddito e della fondatezza della domanda giudiziale e che l'esame stesso lo fa il consiglio dell'ordine degli avvocati territorialmente competente. Ragioni per cui la decisione dei giudici di condannare la parte al pagamento delle spese processuali seppur ammessa, sembra ancora di più una forzatura, quasi uno strumento impropriamente utilizzato per far desistere gli avvocati dal difendere le ragioni di chi non abbia la capacità reddituale per pagare i compensi.
Questo perché, quasi inutile dirlo, la certezza sull'esito di un giudizio non esiste. Esistono percentuali più o meno alte di vedere accogliere una domanda giudiziale ma mai certezza.
Per cui, Vi chiedo, è probabile che un avvocato, nel dubbio di veder condannato un poveraccio a pagare migliaia di euro di spese processuali, desista dal difenderlo anche se questo avrebbe diritto al gratuito e vanti una pretesa fondata nei fatti ed in diritto ?
Diciamo molto probabile.
Ripeto il problema non è per chi difende il meno abbiente perché comunque il proprio onorario viene liquidato dallo stato a prescindere che la causa si vinca o no.
Il problema si pone sul rischio insito in ogni processo che può comportare la soccombenza ed una condanna alle spese per chi ha un reddito talmente basso da disperarsi (vedi il caso del pensionato).
E poi aggiungo che nella maggior parte dei casi questi soggetti che godono del gratuito sono onesti ed il pensiero di avere un debito da saldare e di non poterlo fare non li fa neppure dormire la notte e gli crea davvero malessere e disagio.
Dicevo, dunque, che un avvocato può trovarsi costretto moralmente a far desistere la persona dall'iniziare una causa nonostante questi abbia ragione e vanti pretese fondate e ciò perché il rischio di una condanna, per quanto remoto, c'è ed è molto grave dal punto di vista economico per quelle persone.
Questo aspetto rappresenta la frustrazione dell'art 24 della costituzione.
E questa si chiama, a mio parere "giurisprudenza creativa" perché i giudici hanno, più o meno, inventato uno strumento deflattivo del contenzioso. Certo non mi sento di dire che sia etico, anzi tutt'altro, ma è pur sempre un deterrente per chi voglia fare causa. Un motivo in più per pensarci.
Ancora una volta mi sembra che a pagarne le spese siano i meno abbienti, ma a questo in Italia siamo abituati. Ed è anche vero che ci si abitua a tutto...
Avv. Laura Pizzo
Avv. Laura Pizzo
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